Non io poeta
di Valeria Spallino (Prova d’Autore)
“Tavolozze di alfabeti”, rievocano onirici, eppur tangibili, “frammenti” di un passato sempre nuovo, odierno “presagio di nascita” in un mondo da frugare “a piene mani” per rischiararne i sentieri cupi, “ancor privi di braccia e di stelle”. “Franchezza intransigente” e, “fra i geroglifici dell’attesa”, l’inquietudine aliena del dubbio, “speranze ancora da inventare tra i riquadri del desiderio”. Parliamo della silloge “Non io poeta” di Valeria Spallino, edizioni Prova d’Autore. Liriche, ora elegiache, “dolore ha il peso di scarpe logore nella neve”, “lacrime di rugiada su petali di cuore spaginati”, ora gioconde, “la gioia è volteggio di piuma non lascia orma se non traccia lieve da pettirosso sulla sabbia”, pervase dal palpabile desiderio di ricercare, congiuntamente, verità, amore e bellezza. “La poesia - risalta la Spallino -è contraddizione di moltitudine che mira all’unità. È un dialogare con se stessi e, nel contempo, diventare altro da sé, rivelarsi e superarsi al medesimo istante. È alchimia. Il tentativo impossibile, necessario, di raccontare il non esprimibile, di rendere visibile l’invisibile, procedendo per intuizione, per piccoli lampi alla meta, pennellature. Poesia è ascolto, accostamento, suggerimento, traduzione. Un insondabile segreto, un vuoto che necessita d’essere colmato, dal poeta al lettore, attraverso la realtà, fino all’universo”. L’autrice si esprime per cardini concettuali densi di locuzioni allegoriche e fantasiose, “gli uomini infrangono lo specchio del cielo, recidono un fiore, sgomentano l’universo”, “cespugli d’ombra irrompono il manto sottile dell’erba, caparbia fra le pietre, e un fremito leggero increspa pensieri appena timbrati”, “baratteremo scommesse di stagioni perdute, gusteremo l’infinito”. Risalta, anche beffardamente, l’amore per l’istintività dell’arte nelle più svariate accezioni, “parola mia d’architetto (no, non porto cravattino), il ragno è il miglior professionista, in lui ideazione arguta e manovalanza, a prova di qualsivoglia certificato”. E, dona, guizzante, l’omaggio a Federico Garcia Lorca, “segreti sottovento stringono mani a pontili tardivi di stelle come buchi, cercherò l’alito che sostiene tutte le cose”. Un canto in versi sublimante immagini, “solitaria memoria”, che affondano radici nelle propaggini epocali, “il tempo misura lo scalpello degli anni poi disordina lo spazio”. Appurata, tra le funzioni della poesia, quella di “far strada verso noi stessi”, s’alza, “nel fragore dell’alba”, un richiamo alla presa di coscienza, via di salvezza per un astro in cui “balzi di carta avanzano stampa di cronaca sterile che non redime, incapace com’è la coscienza di avanzare”.
GRAZIA CALANNA
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