mercoledì 1 febbraio 2012

Il cinema brucia e illumina
di Andrea Zanzotto (Marsilio)

“«ciack!» - Federico -, è il tuo circo che erutta e deflagra con gusto, vi piroetta e saetta la festa che maschere appioppa o strappa: possa ognuno della folla che alla tua giacca s’aggrappa conoscere almeno se ha la parte del Bianco o dell’Augusto!”. Versi di Andrea Zanzotto onorano l’amico  Fellini, bulbilli di una riverberante raccolta, “Il cinema che brucia e illumina”, edizioni Marsilio, che compendia articoli, lettere, liriche e pagine inedite dell’imperituro umanista veneto intitolati al diletto cosmo cinematografico. “Non poteva restare insensibile al fenomeno linguistico e sociale che il cinema così pervasivo nella vita del Novecento, su cui ha depositato tracce profonde, proprio un poeta che quel secolo ha attraversato e per il quale l’atto di vedere è all’origine di molti suoi versi”, sottolinea Luciano De Giusti, curatore della selezione. Suggestive memorie quelle dell’autore che, in “Ipotesi intorno a «La città delle donne»”, secondo una linea di continuità felliniana, “il cinema in quanto seduzione irresistibile è qualche cosa di femminile, nella sua essenza”, chiarisce che “parlare del cinema è parlare della donna. La donna-cinema seduce perché rivela, come in un angosciante e dolcissimo titillamento, quella parte di irrealtà che è in ognuno, e che è tale solo per poter aprire il nulla di ciascuno ad una cosmica comunità”. Altrettanto, seducenti, lo sono quelle legate al lungometraggio «E la nave va», “sospeso tra angoscia e disincanto, tragicità e grottesco, ricco di riferimenti al moto reale della storia europea di questo secolo ed insieme sotteso da una complessa trama di valori simbolici”. Sostanziose le considerazioni attorno alla pellicola “Teorema”, datata 1968, consacrata all’infuocato tema dei rapporti interfamiliari, da considerare, rimarca Zanzotto, “come la sintesi rappresentativa della presenza di Pasolini, specie nella direzione di una poesia totale, capace di inglobare tutto in sé”. E, ancora Pasolini, presente in maggior misura con la propria “assenza che porta molti a chiedersi cosa farebbe o direbbe di fronte all’incalzare di fenomeni degenerativi della società ben al di là delle sue pur tragiche previsioni”. Non ultima, risalta, in “Motivi di un candore”, la figura di Nino Rota, il compositore “sembra volerci aiutare a ritrovare, come un folletto, quell’intramontabile deus gentile che è insito nella musica stessa”. Riflessioni invitanti, taglienti, sulla “derealizzazione” prodotta, sin dalle origini, dal cinema; sull’imminente genesi di muti “paradisi visuali”; sul  nostro vivere un tempo “damnatio memoriae”, fatuo, svuotabile, volto alla rimozione di memorie riservate ai posteri.
Grazia Calanna  

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