domenica 5 febbraio 2012

Manna e miele, ferro e fuoco (Mondadori)

di GRAZIA CALANNA

“La neonata era bella come un cespuglio di rose di san Giovanni… fu subito evidente che sarebbe diventata una ragazza aggraziata e flessuosa, uno di quei papaveri che d’estate a piano Pomo si piegano nel vento”. Romilda, vellutata protagonista di “Manna e miele, ferro e fuoco”, nuova fatica letteraria, Mondadori, di Giuseppina Torregrossa, accolta con vibrante entusiasmo dal tramandato rito propiziatorio, “la manna tra le gambe della neonata”, paleserà sin dalle primissime movenze  l’unicità del proprio essere. “Un nugolo di api le ronzava attorno alla testa, si infilava tra i capelli lucidi, le camminava sulle braccia, come se volesse decorare quel piccolo corpo esile, pieno di grazia”. Fanciulla, svezzata dagli insegnamenti genitoriali di Maricchia e  Alfonso, diversi e complementari, intenti a impartire dolcezza, passione, saggezza, delicatezza, autocontrollo e potere, indomabile nell’animo, “se è vero che già alla nascita i caratteri sono ben definiti, il compito dei genitori si riduce a ben poca cosa”.  Divenuta donna, prematuramente, suo malgrado, si imbatterà in un uomo arido, don Francesco, barone di Ventimiglia, “aveva avuto molto e mancava di tutto”, che arbitrariamente, forte delle proprie fortuite ricchezze, la prenotò in sposa ch’era ignara bambina. “Quel matrimonio era l’emblema di un’altra unione avvenuta a forza dieci anni prima, quella tra Nord e Sud”. Con tenacia, temprata da lunghe pause silenziose, come incurante della pesantezza del tempo che corre, riuscirà, in terra di Sicilia - “sempre sul punto di insorgere, non riconoscendosi in quel governo centrale che aveva nominato come amministratori locali i nemici di Garibaldi” -, a non perdere di vista, fino a ricongiungervisi, il proprio emancipato cammino.  Un testo, a tratti lirico, “la luce del mattino aveva perso la sfrontatezza dell’estate e penetrava tra le foglie degli alberi con discrezione”, scritto con rassicurante schiettezza che, senza pomposità, non trascura di bacchettare l’umane debolezze.

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