mercoledì 1 febbraio 2012

L’ombra della salute
 di Alberto Pellegatta (Mondadori)

“I sani sono malati che s’ignorano”, compiuto compendio, la riflessione di  Jules Romains, accompagna, puntellata da un confidenziale sentore di solitudine esistenziale, la lettura della silloge “L’ombra della salute” di Alberto Pellegatta (Mondadori - collezione Lo Specchio). Il poeta, salpando da magistrali “esperienze pittoriche”, si pensi ai dipinti veneziani dell’impressionista Joseph Mallord William Turner, peculiarmente quelli che raffigurano la Basilica di Santa Maria della Salute, scandaglia quel “mistero sconcio, meraviglioso e, finalmente, senza futuro” che è - giustappunto - la salute dando un energico scossone a quanti, tra “spaventosi silenzi primitivi popolati da svelti passanti”, credono che per vivere sia necessario “aspettare l’anno prossimo” dimentichi, or ora, che “l’attimo presente, è la capitale del Tempo”. Scultoreo, afferra la bruta contemporaneità, “inclinata assumendo un moto incongruo e complesso”, restituendola secondo un meccanismo “quantico, fragile e infinitesimale nel dettaglio”. Liriche cromatiche, scandite floride reminiscenze, “la memoria ha stanze immense, camere colme di specchi”; lancinanti, per via di un’attualità “intermittente, come un’immagine rotta”; sferzanti, “la morte è una specie di cottura. Devi essere vivo per cuocere tanti anni. Il sangue si fa crema, schiuma, le gambe si allargano, si gonfiano le nocche, cedono i tessuti. La malattia produce acqua e persino la nascita brucia”; ineluttabili, alla maniera di “quei gesti sospesi nelle ore e il tono nei metalli”. Versi pervasi dall’odore aguzzo della consapevolezza, “si insinua il sospetto che la loro soluzione sia la nostra rovina. Così si disfa il fuoco”; dalla graffiante lusinga dell’evo che avanza, “un mulinello assorbirà ogni cosa persino i baci della bocca. E il labirinto affonderà nella siepe stessa. I pesci saranno ferite dell’acqua, il paesaggio ormai sfuocato. Mentre si consumano i denti”; da pungente nitidezza, “nel corpo tonico o nelle quiescenze meridiane degli oceani, si nascondono correnti devastanti, flessioni squassi e squagliamenti”; da suadente derisione, “mentre l’altro muove mostri muscolosi e densi verso il bagno, rinnova la richiesta del mattino col dialogo addormentato dello spazzolino. La tapparella filtra la glassa del giorno. Rumina nel grigio cavo molle del cervello”. E, ancora, “intanto che il paesaggio fonde disarmato”, avvincente il “Corso di Retorica per Signore” con relativa imbeccata, “diffidate delle nicchie sicure, della tane consolatorie come diapositive. Non date credito agli angeli, Dio è tornato signore degli eserciti”. E, concludendo, in un momento in cui “il tempo è spazio che si espande”, Pellegatta domanda - qualora fossimo veramente - “Chi siamo?”. Generoso, porge la riflessione e azzarda: “Molluschi siamo in una maglia di legami”.  
Grazia Calanna

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