Insegnare al principe di Danimarca
di Carla Melazzini (Sellerio)
“Un insegnante di media cultura e umanità è presumibilmente disponibile a commuoversi sul dramma del giovane principe di Danimarca, e a riconoscere le ragioni dei suoi atti, anche i più estremi. Ma quanti insegnanti sarebbero disposti a riconoscere la stessa legittimità ai sentimenti di un adolescente di periferia che vive il tradimento della propria madre con l’intensità e la consapevolezza del principe Amleto?”. Interrogativo leitmotiv di “Insegnare al principe di Danimarca”, sorprendete testo della “maestra di strada”, la travolgente Carla Melazzini, edizioni Sellerio. Una pubblicazione postuma, in nitido stile diaristico, curata dal marito, Cesare Moreno, che col verbo tratteggia la figura dell’amata. “La determinazione ad afferrare la propria identità contro ogni tentativo di cucirle addosso un vestito l’ha portata ad essere una delle poche persone, se non l’unica, ad abbandonare la Scuola Normale di Pisa di sua volontà e per dichiarata incompatibilità con un modo di fare cultura che sentiva lontano dal reale”. Intensa testimonianza di una missione condotta nel segno della reciprocità: il “Progetto Chance”. Per meglio dire, una scuola per ragazzi “svantaggiati” (tramutatasi in sicuro luogo d’identità incluso e sospeso dal luogo d’origine) in cui prepararsi alla licenza media assume plurimi significati. Riscattarsi dai reiterati fallimenti. Raggiungere un riequilibrio “biopsichico”, anche con il ripristino “di un vero gruppo dei pari”. Vincere “l’angoscia universale legata al non sapere” assaporando “la curiosità e il piacere di conoscere”. Una scuola animata da un credo concreto, perenne: “Preoccupiamoci di formare giovani sicuri delle propria autonomia e dignità personale, e quando verrà il loro tempo stiamo certi che faranno le scelte giuste”. Affabile e generosa, l’autrice porge uno scrigno colmo di solide riflessioni: “considero dannosa ogni enfasi su una pedagogia puramente verbale del rispetto e dell’accettazione di tutte le specie di diversi e di emarginati, imposta a chi non si sente né accettato né rispettato nella sua entità di persona”; “i deboli soni i primi a soccombere; e i bambini sono - fra i deboli - i più deboli”; “la parola non è un diritto acquisito, ma si deve conquistare insieme, alunno e docente”; “condizione indispensabile per la costruzione di un gruppo di alunni sufficientemente buono è che esso si possa rispecchiare in un gruppo di docenti altrettanto buono”, “un laboratorio di linguaggi - verbali e non - deve essere uno spazio predisposto con cura perché vi possa avvenire il passaggio dal silenzio e dal chiasso alla parola e poi alla narrazione rispecchiata e condivisa che costruisce identità”. E, ancora, francamente, che “l’amore ha bisogno della prossimità fisica - gesti, sguardi, parole - per svolgere i suoi benefici effetti, sugli altri e prima di tutto su noi stessi”.
Grazia Calanna
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