Recensione
“LA SINDROME DI HUGH GRANT” DI DANIELE COBIANCHI
La Sicilia 23.12.2014
di Grazia Calanna
“Non capisco questa cosa dei quarantenni che girano con la sciarpetta al
collo. Li vedevo anche quando stavo con Marcella, tutti impettiti e gonfi in
organze sintetiche e lini misti acrilico, darsi un tono da protagonista del
Grande Fratello e dire: «Io sono uno che le cose le dice in faccia, punto». Ma
all’epoca, l’idea di farne parte era così distante da me che non mi
preoccupava, e con Marcella si rideva a crepapelle quando questi bellimbusti ci
tagliavano la strada. Senza parlare dei braccialetti Cruciani ai polsi, e delle
sopracciglia pinzettate. C’è anche qualcuno che gira con le scarpe da calcio,
sì, proprio quelle da tredici tacchetti, sotto l’abito scuro. Giuro che se
questa moda prende piede – ecco, ho fatto la battuta – espatrio”. Uno stralcio
da ‘La Sindrome di Hugh Grant’, edito da Mondadori, nuovo romanzo generazionale
di Daniele
Cobianchi che con lo stile fresco e smagliante che lo distingue, a partire dal
protagonista, Thomas, racconta i quarantenni di
oggi, ‘ognuno infelice a modo proprio’. “Ci sono quelli sposati che tradiscono
nell’ora del calcetto, i separati senza più un euro in tasca, quelli che si
contendono l’affido dei figli, quelli in carriera che vengono presi a calci nel
sedere dai sessantenni che non mollano – spiega Cobianchi -. In più, ognuno di
questi ‘quarantenni disperati’ vive il confronto con se stesso, con le proprie
aspettative, in un momento della vita nel quale ti rendi conto che la tua
strada è ormai segnata e non puoi mandare tutto all’aria e ricominciare daccapo
perché ciò che hai, o ciò che sei, non ti soddisfa. Thomas Rimini è uno di questi.
Uno che potrebbe essere interpretato da Hugh Grant in una di quelle commedie
che l’hanno reso famoso. Thomas vive una profonda crisi personale nonostante
sia una persona di successo e abbia tutto quello che in apparenza potrebbe
renderlo un uomo risolto. Si sente schiacciato dai tempi della vita, dal
concetto di maturità che ai suoi occhi si avvicina al concetto di rinuncia,
dall’obbligo delle decisioni da prendere, dal compromesso inevitabile che la
società impone senza scrupoli omologando chiunque, anche chi non sa ancora cosa
realmente vuole, e chiede solo un po’ di tempo in più”. Una sindrome,
riconducibile alla più celebre di ‘Peter Pan’, per una (diffusa) condizione
psicologica (sempre più patologica) contraddistinta dal rifiuto o, se
preferite, dall’incapacità (?), di crescere e assumersi precise responsabilità.
Un plot, per il quale con la canzone ‘La sindrome’ è stato realizzato il primo ‘book’s
soundtrack’, che caldeggia l’introspezione, il viaggio interiore come quello di
Thomas che “ritrova la sua verità mettendosi in
discussione, comprendendo i propri errori e le proprie fragilità, fino ad
arrivare a capire che anche tornare indietro può essere un modo per andare
avanti e, finalmente, crescere”.
GRAZIA CALANNA