mercoledì 15 gennaio 2014


POESIA - L’AGONISMO DELL’ANIMA NEI VERSI DI MORASSO

di GRAZIA CALANNA

 

 

“La poesia benefica di per sé, la poesia che di per sé ci fa meglio amare la patria, la famiglia, l'umanità, è, dunque, la poesia pura, la quale di rado si trova”. La riflessione di Giovanni Pascoli irrompe leggendo “La caccia spirituale” di Massimo Morasso, edizioni Jaca Book, un costrutto lirico sorprendente, ispirato alla grande linea del componimento in versi di Rilke e Yeats, volto, attraverso mirabile vergare, all’acquisizione di conoscenza, “Ascoltami, poesia, / per gli attimi che irrompi / dall’eterno nel gomitolo dei giorni, / come il discepolo che invochi dal maestro disciplina, / come l’amico che guardi nella stessa direzione dell’amico, / come l’amante che insegna il proprio bene dentro a un volto, / ti chiedo il dono della vista più essenziale”. Articolato in tre sezioni (Genesi, Espiazione - Teoria e prassi di un’anima nel corso del suo cammino di purificazione - e Le Oscurità) il libro “offre una rappresentazione dell’agonismo dell’anima nel corpo cosmico: «Non c’è un movimento del tempo / nessun movimento nel tempo, / il tempo inizia e seguita a iniziare nel principio, [...]»”. Della trilogia, il verbo è il nitido cardine: “le parole sono stanche / e tocca a noi salvarle / darle un riparo all’altezza delle lacrime”, “insieme alle parole una speranza: / poiché la memoria vive nell’immaginazione / che la rinascita è possibile, che oltre la porta viola / c’è giustizia”, “la parola vive nelle immagini del cuore / con l’insistenza di un fatto necessario / oppure è una menzogna, fiato / del nulla, apostasia”, “riascoltando la notte le parole / sgranate in mezzo alla grammatica del vivo / chi fra di noi non sente la potenza / che pullula nei nomi allora taccia”, “Tutto / respira e tutto ringrazia / se anche non sa di ringraziare e non ha fiato / perché non è che un’occasione, un fatto, un quasi niente / come l’intraducibile parola del silenzio”. «La poesia degna di questo nome - dichiara Morasso -, non è soltanto un fenomeno magico-musicale, né un rendiconto in versi di carattere metafisico-morale, più o meno diaristicamente (sentimentalmente) atteggiato. La penso piuttosto, la poesia, come un metodo a-sistematico di conoscenza che insegna ogni volta daccapo come avvicinarsi alla realtà e alla materia che la costituisce dalla parte dell’anima. E ogni singola poesia, in questa prospettiva, la leggo in primo luogo come un segno, come il “resto riflesso” di un banchetto sacrificale che facilita l’incamminamento dello straniero, dell’irriducibile al sé (“mi contrappongo a me stesso, mi separo da me stesso”, scrive Hölderlin). Credo che all’apice di se stesso, il poeta debba indirizzare tutte le sue migliori facoltà come un intero teso a comprendere il cuore più intimo del mistero. Pochi, ovviamente, sono all’altezza di tale mandato. È ben vero che non tutti quelli che scrivono poesia sono poeti».

GRAZIA CALANNA

 

lunedì 13 gennaio 2014


«Quando “qualcuno” ti fa, non richiesto, un racconto che, tuo malgrado, ti trapassa il cuore come lama tagliente, e, subito dopo, spietato, affonda il colpo chiedendoti di “mantenere assoluto riservo”, non fare il suo gioco: cerca chiarezza. Chiarezza è l’unica possibilità che abbiamo per rendere degno il nostro essere al mondo».  
Grazia Calanna

lunedì 6 gennaio 2014




«WILLIAM SHAKESPEARE E LA TEMPESTA DEL GUANTO ASCHERATO» DI LINA MARIA UGOLINI
Il mago Prospero raccontato ai bambini
di Grazia Calanna su LA SICILIA del 3 gennaio 2014
 
“Noi siamo della stessa materia di cui sono fatti i sogni”, l’estatico pensiero di Prospero, tratto dalla popolare commedia shakespeariana, è il leitmotiv del nuovo libro di Lina Maria Ugolini, “William Shakespeare e la tempesta del guanto mascherato”, impreziosito dalle raffinate illustrazioni di Pia Valentinis, edizioni “rueBallu”. Una storia soffice, sbocciata dal desiderio di presentare ai più piccoli la figura di Shakespeare e, con essa, il teatro elisabettiano, nata, spiega l’autrice, “dopo uno studio necessario ad estrarre un nocciolo di semplice contenuto espressivo che possa diventare seme di fantasia per chi legge”. Risolutiva per il plot è stata l’idea del guanto magico, suggerita dalla circostanza che il padre di Shakespeare facesse proprio il guantaio. “Il guanto è di per se maschera della mano, se poi offriamo a questo guanto la possibilità d’appartenere proprio al mago Prospero – personaggio che buona parte della critica considera l’anima di Shakespeare nonché metafora dell’invenzione teatrale – il gioco è fatto. Il libro è dedicato a un bambino vero (che ora ha dodici anni) di nome Marco. Un bambino coraggioso che per fortuna ha superato un lungo periodo di malattia. Marco va matto per le scimmie e per i libri. Le storie belle funzionano se le vivi con il cuore”. - Quale funzione hanno la fiaba e il “fantastico viaggio per cielo e per mare” proposti ai lettori? “La fiaba, come dice Rodari, è il luogo di tutte le ipotesi: essa ci può dare delle chiavi per entrare nella realtà per strade nuove, può aiutare il bambino a conoscere il mondo. Il punto essenziale, dunque, sta nella scelta della chiave. Nessuno può sapere quale sia quella giusta ma una cosa è certa: le chiavi servono ad aprire porte e serrature, a spalancare davanti ai nostri occhi e alla nostra mente, una dimensione razionale o emotiva di conoscenza. Il veliero di Marco Capitano usa la chiave dell’immaginazione. I bambini per crescere hanno bisogno di questa chiave, devono usarla con intimità attraverso il tempo della lettura. Questo tempo è un viaggio che non può essere indotto virtualmente, non può stare sullo schermo di un pc. Con Pia Valentinis, che l’editore ha scelto tra le più brave e premiate illustratrici italiane, abbiamo costruito un libro che si chiude con un elastico come un antico quaderno, un oggetto prezioso per imparare l’arte elementare del leggere e dello scrivere. Lavorare con lei -  conclude la Ugolini -, è stato magnifico perché la fiaba si è nutrita di colori. Pia pensa e immagina con la matita. La matita è una chiave di lettura della realtà straordinaria: l’occhio osserva, il tratto capisce e nell’illustrazione sottolinea particolari essenziali, suggeriti sottovoce dalla parola. Il colore diventa poesia, un vapore ineffabile che scorre, capitolo dopo capitolo, creando un ritmo, una musica muta”.