lunedì 23 settembre 2013

 
XLIV Premio Brancati, segnalazione speciale per “Era Farsi” di Margherita Rimi
 
“La bambina non sapeva di essere / bambina // La storia dentro a un pugno / scambiata tutta per errore. Così / Come poteva essere da capo. Come / per aggirare il mondo”. Versi di Margherita Rimi, autrice di “Era farsi”, Autoantologia (1974 – 2011), edizioni Marsilio, vincitrice, in seno al XLIV Premio Brancati Zafferana, della segnalazione speciale della giuria “Stefano Giovanardi”. “Il dettato della Rimi è nitido nel suo articolarsi per anafore, interazioni e parallelismi di ogni genere, ma anche per montaggi fra giustapposizioni e incroci analogici: “E – sono un libro chiuso / E – rimango chiuso / i grandi hanno grandissimo da fare” (In salvo)”, scrive la prefatrice Daniela Marcheschi. “Sono doppiamente soddisfatta perché questa segnalazione arriva da un prestigioso premio della mia Regione e per l’intestazione a Giovanardi, scomparso da poco, studioso di letteratura e profondo conoscitore della poesia – dichiara la Rimi”. L’autrice agrigentina, neuropsichiatra infantile, svolge un’intensa attività finalizzata alla cura e alla tutela di fanciullezza e adolescenza. Versificando, offre riverberi dedicati, oltreché all’infanzia (nelle sezioni “I tempi dei bambini” e “Le voci dei bambini”), a molteplici personaggi tra i quali Pirandello, Sciascia, la poetessa rumena Ana Blandiana, la scrittrice ungherese Agota Kristof. E, ancora, alla creatività della lingua siciliana, con le liriche in vernacolo, nonché, amabilmente, alla propria terra, “A volte a confondersi dietro uno stesso passo / ci siamo orientanti // Odore di terra / Tanta acqua è caduta // Più forte la pausa / e negli spostamenti il tempo.” (Eccezione la natura). “I bambini – aggiunge la Rimi -, sanno rappresentare quello che vivono: le paure, il dolore, la gioia e non solo con le parole, anche con i disegni, con il gioco, con il corpo. L’adulto ha l’obbligo di farsene carico. La parola è necessaria per comunicare, per “curare”, ma, altrettanto, sono necessarie tutte le altre forme di linguaggio non verbale per comprendere e aiutare i piccoli. I miei ricordi sono legati ai loro volti, alla sofferenza, alle storie raccontate nei loro disegni. E, ancora, alle loro parole imperfette, alle parole di una lingua irregolare. Alla loro concreta semplicità. Era giusto che la poesia accogliesse le loro voci”. La parola è una cosa profonda nella quale, per l’uomo d’intelletto, sono nascoste inesauribili ricchezze”. Un pensiero di D’Annunzio per chiederle, assodato il ruolo pregnante del verbo nei suoi versi, una riflessione. “Le parole autentiche ci toccano nel profondo, ci avvicinano alla bellezza. Influenzano i nostri comportamenti emotivi, i nostri pensieri. È questo quello che fa la parola poetica, ci migliora, ci rende più sensibili, più pensanti. La parola, quando il poeta la scrive, non muore ma trova una sua conclusione”.
Era Farsi
Ai piedi del letto il tempo non passava
Era farsi grande raccontare una storia
E la storia non era più una storia
era farsi padre
Il suo disegno non era farsi grande
non era orizzonte la sua mano
Il dolore era farsi carta
farsi carta i troppi desideri
Il suo mondo era grande ed impreciso
la forma del suo cranio
una farfalla.
l'EstroVerso 21.09.2013 http://www.lestroverso.it/?p=4896

 
LA SICILIA pag. Cultura "Nella mia poesia vengono accolte le voci dei bimbi"
lettura critica di Grazia Calanna
 

mercoledì 11 settembre 2013


LUCIANNA ARGENTINO, AUTRICE DEL POEMA «L’OSPITE INDOCILE»

«Fare poesia è dare voce a chi non ne ha»

di Grazia Calanna su LA SICILIA pag. CULTURA del 7.09.2013

 

“Il suono tiepido della luce / scorre lungo i rami carichi / e cade e si frantuma, / fa certo il provvisorio / mentre la bellezza si fa scrittura / e non ne muore”. Versi germogliati da un’ininterrotta meditazione, immensa, come “felici scorribande del vento”, riconoscente, come inchiostro che “scorre / e si rapprende come lava / fa fertile il foglio / fa anse all’ansia / spicca il vuoto alle cornici / ai cornicioni chiede la vertigine / per il salto nel pieno della vita”, fulgida, come “l’infanzia con le altalene a filare il tempo”. Parliamo del poema “L’ospite indocile” di Lucianna Argentino, Passigli Editori, con nota critica di Anna Maria Farabbi che ha colto, focalizzandola, l’andatura interiore della poetessa romana. “Ho cominciato a scrivere durante l’adolescenza quando la vita cominciava ad avere orizzonti sempre più vasti e mi procurava un tremore interiore misto a fascino. La poesia è stata una compagna nel viaggio che mi accingevo a iniziare. Compagna e viaggio stesso e anche casa: un vero e proprio luogo da abitare. Vivo la poesia come un esercizio spirituale, teso ad indagare il senso spirituale dell’esistenza e il suo mistero, come un incessante dialogo con me stessa e con tutto ciò che mi circonda. Complici carta e penna e quell’attenzione creatrice tanto cara a Simone Weil, sono sempre pronta ad accogliere la grazia che la parola poetica riesce a estrarre da ogni istante - dichiara la Argentino”. Perno della versificazione il valore essenziale della scrittura (“concupiscente e casta”) che balza di foglio in petto come fosse brezza, “Scrivere è togliere spazio al male, / è addomesticare la paura / che torna selvatica a ogni respiro / è tentativo di conoscere / se nella radice dell’albero dimorano / necessità e libertà, / se sul tuo tronco è la misura / di altezza e statura, / se nella sua chioma nidificano / verità e verosimiglianza, / adesso che so stare sotto la sua ombra / lo svantaggio umano”, “Ora mi siedo e scrivo / da dentro questa fonte mai sazia / dove a volte il silenzio ha la meglio / ma di nuovo mi feconda la vita / mi seduce la scrittura”. Il verbo alligna il pensiero (“in confidenza con l’eterno”), la parola “irrompe / e sgorga necessaria come tutto il bene / che in questo momento è compiuto / nel basso della terra / e si misura ad altezza d’uomo”. “La poesia  è essere in relazione con l’intero creato. Fare poesia per me è ascoltare e dare voce a chi o a ciò che non ne ha. È prossimità. È il lavoro silenzioso e oscuro delle radici e quello luminoso e alto della luce: entrambi “invisibili” ma fondamentali per la vita dell’albero - aggiunge l’autrice -. Questo libro è una riflessione sulla vita, sulla sua irripetibile preziosità, sulla forza della parola poetica capace di estrarre l’eterno da ogni attimo e dove carnale e spirituale coincidono per un sentire che conduce nelle profondità dell’essere”.

GRAZIA CALANNA
 

 

lunedì 2 settembre 2013


 “GLI IMPERFETTI SONO GENTE BIZZARRA” DI RITA PACILIO

Lo spazio inespugnabile dell’essere sorella

 

di GRAZIA CALANNA su LA SICILIA del 28.08.2013

“I suoi amici hanno le ali sotto / la maglietta / alcuni hanno la testa nei sotterranei / e con le mani consegnano fogne // come fossero baci convulsi / abbracci miti, girano / la lingua di un sorriso, implorano / risposte alla sorte e alla pietà. / Hanno un amore negli occhi / un presentimento di attesa / una polvere pronta a sparare / una febbre. // Noi dispiaciuti li guardiamo enigma senza soluzione”. Versi dall’intesa tonalità affettiva, versi di Rita Pacilio tratti da “Gli imperfetti sono gente bizzarra”, edizioni La Vita Felice. «Questo - dichiara la Pacilio - è un libro che mi è costato uno scavo interiore. Ho denudato la mia rintracciabile fisicità per allinearmi allo schema dello sdoppiamento mentale e di coscienza al fine di poter osservare, con il terzo occhio, la libertà del vagabondare plurimo e legittimo della mente umana di fronte allo straordinario e difficile mondo dell’incoscienza ». Lo sguardo della poetessa (amorevolmente) indaga e si allunga fino all’ignoto di un cosmo narrato nella sua peculiare complessità, “La prigione di mio fratello / è oracolo timido / probabile occhio spia”. Un cosmo percorso da struggente tenerezza, “Il giardino l’hanno messo sul tetto / il custode è il lungo cipresso / si intreccia l’edera tra le caviglie / negli occhi vaga la collina viola”. «Un dolente e splendente diario, personalissimo – sottolinea il prefatore, Davide Rondoni - dove la forza dei versi fila, tesse e spacca la mormorazione in cui pure restano raccolti, pronunciati dal quel luogo inespugnabile che è lo spazio dell’essere sorella».

Una serie complessa di anelli (inscindibili), liriche poderose che, interpretandone prudentemente il pensiero, i sibili (“Ho parlato al tuo corpo fraterno/ conficcato nella pioggia che lava/ sollevato ruggiti sfibrati/ per pietrificarne i momenti”), donano la parola a coloro (“Li ho visti assorti, smarriti, soli. / Portavano negli occhi i rovi del mondo / con decenza e con il pungolo nel cuore”) che ne sono provvisti. «Il vero poeta - aggiunge la Pacilio - ha il compito di educare gli esseri umani alla rivelazione dell’essenza del possibile. La poesia deve avere il compito fondamentale di comunicare, come cassa di risonanza, che il codice simbolico del mondo è un lascito di un varco creativo e benefico delle vicende umane che universalmente riguardano le singole esistenze. La poesia nasce dalla realtà per poi disgiungersene in modo semplice, quasi come per creare una seconda coscienza, per erigere una distanza che discenda dalle cose stesse. Il poeta deve essere visionario e attento conoscitore degli innesti inquieti che, implacabile, la vita riproduce con spontaneità, senza debolezza. Per me la poesia resta motivo di introspezione del mondo».