“DISMISSIONE”, I VERSI SPERIMENTALI DI
FABIO ORECCHINI
La strage silenziosa dei morti per
amianto
LA SICILIA 27.06.2014
di Grazia Calanna
“Nella terra si scava senza sosta // si sprofonda”.
Procede tacita la contaminazione dei giorni, “e non c’è nulla che possa fermare
/ la [ri]produzione dell’ovvio / l’abitudine al male”. Soccombiamo
all’ineluttabile “Ragione di Stato”. Siamo “Una generazione postuma[na]”.
Un condensato di versi sperimentali, tratti da “Dismissione” di Fabio Orecchini, Luca
Sossella Editore, per un messaggio lapidario: “il benessere è nel
sottosuolo / - sottocutaneo - / in superficie / l’enorme camera a gas”. “Dismissione
nasce - spiega Orecchini -, da una lunga riflessione politica e filosofica
che ha accompagnato la mia ricerca universitaria come antropologo culturale.
Decisi di concentrarmi sulla realtà in cui eravamo (era il 2007) e siamo
immersi. Tutto era avvelenato e corrotto, dilaniato. Come è potuto accadere mi
chiesi, scegliendo di trattare un tema, un nucleo possibile da cui partire e
procedere per osmosi di pensiero: il dramma dell’amianto e delle morti ad esso
correlate, la strage silenziosa, silenziata, cui stiamo assistendo in questi
anni. L’ho definito un processo di “alchimie
speculative”: per tutto il novecento l’amianto è stato l’oro “bianco”
per grandi e potenti apparati industriali internazionali, l’albedo alchemico di
un metallo perfetto perché a basso costo, resistente ad altissime temperature,
praticamente eterno, invincibile. Verrà utilizzato in ogni tipo di costruzione:
treni, metro, automobili, ministeri, fabbriche, scuole. Sino a scoprirne la
nocività contagiosa, la capacità delle sue lamine microscopiche di penetrare il
corpo attraverso il respiro, in un processo di incorporazione in cui le stesse
bocche diventano simulacri ed icone (ritratte nelle lastre-rx da me disegnate a
mano e visibili sul sito internet dell’opera) di una narrazione negata,
dell’impossibilità oggettiva, reale - per via della stessa malattia che
colpisce per prime proprio le vie respiratorie e l’apparato fonatorio - di dar
voce al proprio vissuto, condannando definitivamente tutte queste tragiche
esperienze all’oblio della memoria. Per non parlare del silenzio oltraggioso di
chi sapeva e taceva, per il bene del capitale”.
Cataratte, «come ortensie giù dai davanzali», ossa
screpolate, carni scavate, «Piaga d’attesa l’infinito decubito», corpi
dissepolti, sudore, «freddi organi[smi]
genitali». “Il tutto Orecchini lo spalma sulla pagina,
perché affiori come un relitto, il relitto di un discorso disarticolato, con
ogni singolo elemento reso roco, finanche irriproducibile, come il «(punto)»
che chiude l’opera stessa - scrive Gabriele Frasca nella postfazione”. Un
libro impreziosito dal cd, allegato al libro, a cura del quintetto dei “Pane”, con
una suite musicale articolata in sei tracce (sui testi
di Orecchini), fiorita, nel paradosso fertile
di una storia edificata da silenzi, da bocche deturpate dall’impossibilità di
narrare, dall’urgenza febbrile della parola, “depositaria di senso profondo e
sfaccettato”.
GRAZIA CALANNA
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