venerdì 8 marzo 2013

MARCO SAYA
I versi partitura scandiscono le trame
La Sicilia, 07.03.2013 di Grazia Calanna
“La passione per la scrittura nasce da lontano, con la musica, ricordo le prime lezioni di chitarra a quattordici anni. Lo studio dei testi di alcuni celebri cantautori americani è stato lo spunto per iniziare a buttare giù qualche pensiero e così lo scrivere è diventato parte integrante della mia partitura musicale”. Riflessioni di Marco Saya, editore e autore di “Chiacchiericcio”, malmenante (e rapente) raccolta poetica, “cinque muniti per dirvi di non ascoltare / codeste cassandre puttane / travestite da lauree con master a seguito, / figlie di un capitalismo abortito / e di una democrazia stuprata. […] cinque minuti per riprendervi quella dignità / persa nella sabbia fine di qualche deserto”. Converrebbe Cioran, esistono solo le cose che abbiamo scoperto da soli, le altre sono tutte chiacchiere. Saya, cosciente della “precarietà della parola”, addita la menzogna, “verità tramandata da previi accordi”, figlia dell’umanità intrappolata nel cerchio perpetuo della reiterazione, “ricordo quei convogli / che, allora, avevano / un’unica destinazione”. Plasma versi agili, fotogrammi verbali di un paese popolato da lacchè, opinionisti senza opinioni, morti sul lavoro, precari in cerca di dignità, in cui “la povertà precipita / fracassandosi sull’asfalto / cosparso da compresse di xanax”. Versi acuti, “mi domando se, oggi, l’idea abbisogni / di un nuovo re-styling / ma gli orchestrali della mente / dirigono solo metà emisfero / perché a corto di dipendenti”, di sociale (mordace) interpellanza, “ri-apprendere come sfregare le pietre focaie / potrebbe essere il miglior inizio / per dar fuoco a questo presente?”. “In Chiacchiericcio - aggiunge Saya -, i testi prendono forma nella loro eterna contraddizione come una partitura dove il tempo non è mai stabilito a priori ma è ogni singola misura a scandirne le trame, sempre diverse ma vicine perché vogliono capire, cercare di prevenire le misure successive. Questo richiede una totale simbiosi con il proprio reale, un mondo “work in progress” che costruisce il racconto, lo sviluppa, lo articola, lo canta e così la poesia deve essere vicina al tempo che si vive, a questo nuovo millennio che, tra una tecnologia esasperata e i nostri passi che faticosamente arrancano, aspetta di essere rappresentato in tutta la sua complessità emotiva, nevrotica e, aggiungo, piuttosto confusa. Mi piace osservare, descrivere, quasi come un cronista armato di ironia, ma anche di tanta amarezza, il caos del nostro tempo, partendo, appunto, dalle “notizie”, dai pregiudizi, dalle ingiustizie sociali, dai singoli oggetti, feticci divenuti una nostra seconda pelle, dal nostro essere in questo mondo senza una vera identità, una sorta di cloni che attraversano questa vita in attesa di un alfabeto/linguaggio che possa essere condiviso”.
 
GRAZIA CALANNA

 
“SOLOMINUSCOLASCRITTURA” DI SILVIA ROSA
 
Versi taciturni, parole «carne dell’anima»
LA SICILIA 14.02.2013 di Grazia Calanna
 
“Il linguaggio è uno specchio della mente in un senso profondo e significativo; è un prodotto dell’intelligenza umana, ricreato ex novo in ogni individuo mediante operazioni che si situano ben oltre il limite della volontà e della consapevolezza”. Leggendo “SoloMinuscolaScrittura” di Silvia Rosa, edito da “La Vita Felice”, prefato da Giorgio Bàrberi Squarotti, sovviene la riflessione di Chomsky. Siamo in presenza di una prosa poetica che non sfugge il silenzio, bensì lo accoglie in policroma (faconda) pienezza. Taciturne, “le parole sono carne tenera dell’anima, l’alfabeto di occhi mani labbra che siamo, eterni a svanire”. Con verità cristallina, “a denti stretti”, l’autrice partecipa il lettore del proprio “precipitare nell’ansa nuda di parole”. Indaga le geografie del tempo, pur (talvolta) assente da se stessa, instancabile, pur (talvolta) stanca dell’immobilità che la “preme contro i minuti sbeccati taglienti dei giorni che scorrono in fretta, e si sbriciolano”. Sveste i propri dubbi esistenziali, “bolo indigesto che ulcera la coscienza”. Sul “candore delle pagine” adagia desideri cosmici, riconoscibili, anche quando taciuti, “vorrei che ci scambiassimo le fiabe, e le dolcezze che teniamo nascoste al mondo intero, […], il tempo di un sospiro di piacere che tremi il cuore e frani cielo e terra fino all’origine di (un) noi - possibile”. Ebbene, cardine è l’amore, che, insegna Feuerbach, è passione, contrassegno della vita, senza il quale, ricorda semplicemente l’autrice, “i giorni (e le notti) precipitano nel vuoto”. “Scrivo per raccontare il mondo, visto coi miei occhi, a me e a gli altri, come si raccontano le fiabe perché aiutino a superare la notte e a guardare senza (troppa) paura le ombre, e poi scoprire che le ombre nascono dalla luce che si muove intorno ai nostri passi - spiega la Rosa -. Scrivo per necessità, non vorrei scrivere, scrivo con difficoltà e fatica, le parole molte volte non ci sono, devo cercarle e non ho voglia e poi però penso che non ho niente oltre alle parole che (non) possiedo, che il senso è tutto lì, nelle parole, ma che le parole non “significano” nulla, perciò bisogna metterle insieme con cura come le tessere di un mosaico e inventare un disegno per dirsi e per dire, e offrirlo in dono a chi vorrà leggerne tutte le sfumature e le imperfezioni. “SoloMinuscolaScrittura" nasce da un corpus di riflessioni di questo tipo rielaborate, poi, in una sorta di racconto. Se c'è un'uscita possibile da quel labirinto di non senso e solitudine e vuoto in cui a volte (ci) si (s)finisce, per me - conclude la Rosa - è proprio nello spazio di quel cammino, una parola dopo l'altra tesa come una mano in una carezza in un gesto di resa in un saluto, a indicare il mondo e a pronunciarlo sulla punta della lingua, come fosse una preghiera”.
GRAZIA CALANNA



 

 

“LA VITA CHIARA” DI MARIA GRAZIA CALANDRONE

«La poesia, un patto di fratellanza»
La Sicilia, 11.01.2013 intervista di Grazia Calanna