LAZZARO
La favola di Pitrè la parola detta
La Sicilia
09.04.2014, recensione di Grazia Calanna
“Tra un fatto e
l’altro il tempo passa presto perché la novella, come dice un proverbio, non
mette tempo, e tu vedi sfilarti l’uno appresso dell’altro personaggi che, per
l’ordine naturale delle cose, dovrebbero esser vissuti in tempi differenti, e
raccorciare in un’ora, in un momento, anni interi e centinaia d’anni. Il qual
fatto […] avviene per la natura stessa delle tradizioni orali, per la
inclinazione innata del popolo di accostare epoche remote e di rappresentare
come vivi e parlanti in uno stesso tempo, e quasi innanzi a noi, uomini e
cose”. Abbiamo scelto l’equanime riflessione di Giuseppe Pitrè per introdurre
l’edizione integrale, tradotta dal siciliano, e curata da Bianca Lazzaro, della
sua stessa opera, “Il pozzo delle meraviglie”, animata dalle illustrazioni
parlanti di Fabian Negrin, pubblicata da “Donzelli”. “Giuseppe Pitrè è stato
finora il grande fantasma delle fiaba italiana. La sua straordinaria raccolta
di trecento fiabe, novelle e racconti popolari siciliani, pubblicata nel 1875 e
qui proposta è il più ricco repertorio mai raccolto nel nostro paese, e forse
-sottolinea la Lazzaro - il più importante di tutta l’area europea. Figura
davvero eccezionale di medico-scienziato-folklorista, egli mise insieme una
mole sconfinata di storie facendo le mille miglia in calesse per andare a
raccoglierle personalmente dalla viva voce dei popolani e trascriverle con
fedeltà quasi maniacale”. Ne venne fuori quella che Italo Calvino considerava
la più bella raccolta italiana, «l’optimum dell’arte di raccontare a voce», un
mirabile capolavoro per varietà, qualità, ricchezza delle storie. La traduzione
rispetta rigorosamente i criteri grafici adottati dall’autore nelle
trascrizioni in siciliano, “nella convinzione che quelle scelte fossero
motivate dal più rigoroso rispetto del parlato dei raccontatori e delle
raccontatrici”. Il senso (indefinito) cavalca i luoghi (intangibili) di
narrazioni brillanti che accolgono, aldiquà o aldilà, tra terra, mare e cielo,
personificazioni immaginative, protagonisti umani e sovrumani, reali e
immaginari, interpreti di“imprese” cicliche, riconoscibilissime alla vita, in
cui il bene e il male si avvicendano, come la luce e il buio, come il giorno e
la notte. “Per quanto Pitrè possa aver ritoccato molte storie della sua
raccolta - scrive Jack Zipes nell’introduzione- non ne ha intaccato l’essenza,
che rifletteva il modo comune dei siciliani di considerare il lavoro, il sesso,
la religione, la giustizia, il denaro e il potere. Provava una grande empatia
per la gente che raccontava queste storie. Ne conservava le parole semplici e
schiette in dialetto. Questi testi regalano squarci sul potere della parola
detta e preservano in parte una grande eredità culturale che merita di essere
conosciuta anche in altre lingue, prima fra tutte l’italiano”.
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