Università
Nazionale Autonoma del Messico
“Allakatalla,
quando la parola si fa poesia e la poesia canto”
Alfio Patti: “Ho
ripercorso ottocento anni di letteratura, dalla scuola siciliana ad oggi”
Intervista di
Grazia Calanna
“Allakatalla, quando la parola si fa poesia e la
poesia canto”. È il titolo del corso tenuto da Alfio Patti, poeta, studioso della
poesia siciliana colta e popolare all’Università Nazionale Autonoma del Messico
(Unam), Dipartimento di Lettere Italiane della cattedra straordinaria Italo
Calvino.
- In che modo
sono state articolate le lezioni?
“Con
l’ausilio di una chitarra d’eccezione, usata da Joan Manuel Serrat, celebre cantautore
spagnolo-catalano, prestatami per l’occasione,
e di un semplice powerpoint, ho ripercorso, a volo d’uccello, ottocento
anni di letteratura a partire dalla scuola siciliana del Regale Solium di
Federico II di Svevia fino ai giorni nostri. Le lezioni sono state divise in
una parte esclusivamente teorico-didattica e un’altra artistico-musicale con
canti e cunti attinenti alla lezione del giorno. Nella prima ho parlato della
scuola poetica siciliana, dei poeti-giuristi e della poesia cortese e amorosa.
Di seguito, ho tracciato il percorso del genere
“Contrasto”, caratteristico della letteratura latina, medievale e romanza
tanto diffuso in Sicilia. E, ancora, i poeti dal 1400 al 1600, con particolare
riferimento a Bartolomeo Asmundo, Girolamo D’Avila, Giovanni Nicolò Rizzari e
al principe dei poeti siciliani, Antonio Veneziano. La lezione ha visto l’intervento
a sorpresa della prof.ssa Mariapia Lamberti, la quale ha parlato dell’amicizia
del Veneziano con Miguel Cervantes. Apprezzato anche l’incontro dedicato all’ultimo
petrarchista siciliano, Giuseppe Nicolosi Scandurra e alla poetessa Graziosa
Casella, autrice catanese della prima metà del ‘900. Entrambi hanno cantato
l’amore e la natura; il primo in modo platonico e ideale, la seconda in modo
concreto e passionale. Non sono stati trascurati i poeti del Novecento, con
particolare riferimento a tre grandi della nostra poesia: Vincenzo De Simone,
parnassiano per eccellenza, definito il D’Annunzio di Sicilia; Ignazio
Buttitta, il quale parlò del contingente e del precario con le sue poesie
civili e sociali; Mario Grasso, poeta
fuori dal coro, tra simboli e polemiche, fino a Gabriella Rossitto (l’amore
traslato), Marco Scalabrino (lo sperimentalismo) e al sottoscritto - in cui la
forza della parola si fa scudo e spada”.
- Tra
tanti, quali i temi che hanno destato maggiore interesse?
Quelli dell’amore e dell’ingiustizia sociale. Ecco
perché nella lezione sui cantastorie, il “Lamentu ppi Turiddu Carnavali” e “La
Barunissa di Carini” hanno attraversato i cuori degli astanti. I giovani messicani,
assetati di conoscenza, hanno palesato verso la letteratura siciliana grande
rispetto e ammirazione. Certo, occorre saper porgere la disciplina con garbo e
metodologia ma soprattutto credendoci fino in fondo”.
- Quale la singolarità
di questo corso?
“Il rapporto tra siciliano e spagnolo, non
solo attraverso le parole ma anche attraverso il costrutto delle frasi e delle
espressioni. Per esempio: il nostro “non
diri mancu pìu” (non aprir bocca), in spagnolo si dice “no decir no pìo”; come quando una cosa fa
male alla salute noi diciamo “mi fa dannu” in spagnolo “me hace
daño”. Così per le espressioni “mi affaccio da mia
madre” o “Gesuzzu”, allo sternuto del bambino… Ho parlato in siciliano con
molta disinvoltura e i ragazzi, tra i migliori del corso, coglievano al volo le
battute”.
- La poesia,
quella autentica, è generosa, sa donarsi pienamente fino a divenire un tutt’uno
col lettore; schiude, senza posa, quella girandola di identificazioni che la
rendono nostra per sempre. Questa premessa per avviare una riflessione sul
valore odierno della poesia e sul ruolo che ha (o dovrebbe avere) il poeta.
“Credo che oggi, più di ieri, il poeta abbia
un ruolo determinante nella società. I poeti non hanno fucili né cannoni ma
incutono un certo timore ai “poteri forti” perché hanno la parola che arriva
nel profondo delle persone e principalmente dei giovani che, educati alla non
violenza e alla democrazia, vogliono riappropriarsi di quel dialogo che viene
loro negato. Ecco perché scrivono poesia. A me la poesia ha dato più di
un’amante fedele. È stata rifugio e pulpito, unico mezzo per comunicare in una
società in cui l’uomo cerca l’uomo fra una verità virtuale e un’altra reale”.
GRAZIA CALANNA
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