«Non scriverei versi se non credessi nel genere umano»
La Sicilia Cultura 05.11.2012
Intervista al poeta Giovanna Frene
a cura di Grazia Calanna
Scrivere poesia. Dimorando l’esistenza. Meditando il
dolore. Ghermendo la storia. La storia, estensione (ricorrente) in cui pensiero
e azione quadrano, e con essi compimento, testimonianza, interpretazione, casualità. È questo l’assunto che
regge “Il noto, il nuovo” dell’autrice veneta Giovanna Frene (Transeuropa
Edizioni) con la quale abbiamo amabilmente conversato.
Quali i
poeti dell’anima?
“Saffo, Emily Dickinson, Edgar Allan Poe, Amelia Rosselli, Giorgio Caproni,
Andrea Zanzotto, Francesco Petrarca, Charles Baudelaire, John Donne; più tardi,
Paul Celan. Zanzotto è stato il poeta cardine nella mia formazione, per la
vastità delle sue scoperte poetiche, per la sua intelligenza, per il suo
ascolto del mondo; ricordo ancora che la sua prima lettura fu una vera e
propria esperienza estetica nuova, e non è stato facile staccarmi poi da lui e
iniziare il mio personale tragitto nella poesia – di sicuro questo distacco è
stato un superamento, in senso hegeliano, con tutti i dolori di una separazione”.
Qual è
l’insegnamento principe del poeta diletto?
“È la sua estrema attenzione al linguaggio, nei suoi due
aspetti (cosa e come dire) - cosa che non è stata molto recepita, devo dire,
nella poesia italiana successiva a lui, troppo infagottata su se stessa per
potersi aprire al rischio inaudito di mettere in corto circuito contenuto e
forma. Il rischio messo in atto per primo da Zanzotto però, anche se sembra
l'opposto, è prima di tutto inerente al contenuto, a cui di conseguenza sono
seguite parole e strutture grammaticali adeguate: esiste infatti in Zanzotto un
limite a ciò di cui la poesia può trattare? No. Ecco il punto. Sono riflessioni
che sto maturando ultimamente, perché invece da giovane ero stata attratta dall'estremo
brillio dalla superficie, dal significante della sua poesia, così instabile,
baluginante, frantumato, scisso nella
profondità stessa del dire. La scissione del textus zanzottiano è
prima di tutto nel contenuto: forse è lui il primo poeta postmoderno italiano”.
Per
Zanzotto la poesia “è sempre più di attualità perché rappresenta il massimo
della speranza, dell'anelito dell'uomo verso il mondo superiore”, per la Frene?
“Vorrei soffermarmi su queste parole di Zanzotto: ora che è morto, risuonano
anche pregne di una certa religiosità (e lo dico con cautela, anche perché non
vuol certo dire religione), perché Andrea era prima di tutto un uomo che aspirava
alla giustizia e al bene. Che altro è la poesia se non questa, poco segreta e
platonica, aspirazione? Per me la poesia, e l'ho già detto altre volte,
rappresenta il mio modo di vedere e conoscere il mondo; non sono esplicitamente
ottimista, ma devo dire che non scriverei se non sperassi che questo linguaggio
così speciale e fluido possa
attraversare il freddo metallo spazio-tempo della violenza umana, e
depositarsi sul sostrato positivo che permette al genere umano di sussistere
nonostante tutto”.
Può esistere
poesia malgrado esista una frattura insanabile tra pensiero/scrittura e azione/condotta?
“La poesia può di fatto esistere malgrado tutto, e specialmente malgrado chi
la scrive. Seguendo quanto dice Proust, c'è di fatto una bella scissione tra
scrittore e essere vivente, anche e specialmente per chi vede tutto da esterno:
il nostro prossimo. Propenderei poi per lasciare aperto il dubbio su quale di
queste due dimensioni inglobi l'altra, o se siano due insiemi che si
intersecano, o se siano due monadi che si sfiorano”.
“Mentiamo
in ogni momento a noi stessi: / viene dall'atto dell'abrasione il nesso di
colpevolezza, / dal non mantenere inalterato l'abominio / comunque compiuto”.
Potrà (in che modo) il nuovo scompagnarsi dal noto?
“Il nuovo nella storia è la medesima
violenza che si reitera, e dunque rimaniamo nell'ambito del noto, cambiando
solo forme, soggetti e oggetti. Tuttavia, la direzione in cui ultimamente sta
andando il mio pensiero mi porta a dire che ci sono eventi che appunto sono
nuovi, e che la loro novità sia irriducibile a qualsiasi elemento noto. La
Shoah è uno di questi eventi. Il poeta
può e deve ancora nominare un evento, o evocarlo, per ridare forma a
fantasmi che spesso la società non vuole più vedere”.
GRAZIA CALANNA
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