MARCO SAYA
I versi partitura scandiscono le trame
La Sicilia, 07.03.2013 di Grazia Calanna
“La passione per la scrittura nasce da lontano, con la musica, ricordo le
prime lezioni di chitarra a quattordici anni. Lo studio dei testi di alcuni
celebri cantautori americani è stato lo spunto per iniziare a buttare giù
qualche pensiero e così lo scrivere è diventato parte integrante della mia
partitura musicale”. Riflessioni di Marco Saya, editore e autore di
“Chiacchiericcio”, malmenante (e rapente) raccolta poetica, “cinque muniti per
dirvi di non ascoltare / codeste cassandre puttane / travestite da lauree con
master a seguito, / figlie di un capitalismo abortito / e di una democrazia
stuprata. […] cinque minuti per riprendervi quella dignità / persa nella sabbia
fine di qualche deserto”. Converrebbe Cioran, esistono solo le cose che abbiamo
scoperto da soli, le altre sono tutte chiacchiere. Saya, cosciente della
“precarietà della parola”, addita la menzogna, “verità tramandata da previi
accordi”, figlia dell’umanità intrappolata nel cerchio perpetuo della
reiterazione, “ricordo quei convogli / che, allora, avevano / un’unica
destinazione”. Plasma versi agili, fotogrammi verbali di un paese popolato da
lacchè, opinionisti senza opinioni, morti sul lavoro, precari in cerca di
dignità, in cui “la povertà precipita / fracassandosi sull’asfalto / cosparso da
compresse di xanax”. Versi acuti, “mi domando se, oggi, l’idea abbisogni / di
un nuovo re-styling / ma gli orchestrali della mente / dirigono solo metà
emisfero / perché a corto di dipendenti”, di sociale (mordace) interpellanza,
“ri-apprendere come sfregare le pietre focaie / potrebbe essere il miglior
inizio / per dar fuoco a questo presente?”. “In Chiacchiericcio - aggiunge Saya
-, i testi prendono forma nella loro eterna contraddizione come una partitura
dove il tempo non è mai stabilito a priori ma è ogni singola misura a scandirne
le trame, sempre diverse ma vicine perché vogliono capire, cercare di prevenire
le misure successive. Questo richiede una totale simbiosi con il proprio reale,
un mondo “work in progress” che costruisce il racconto, lo sviluppa, lo
articola, lo canta e così la poesia deve essere vicina al tempo che si vive, a
questo nuovo millennio che, tra una tecnologia esasperata e i nostri passi che
faticosamente arrancano, aspetta di essere rappresentato in tutta la sua complessità
emotiva, nevrotica e, aggiungo, piuttosto confusa. Mi piace osservare, descrivere, quasi come un cronista
armato di ironia, ma anche di tanta amarezza, il caos del nostro tempo,
partendo, appunto, dalle “notizie”, dai pregiudizi, dalle ingiustizie sociali,
dai singoli oggetti, feticci divenuti una nostra seconda pelle, dal nostro
essere in questo mondo senza una vera identità, una sorta di cloni che
attraversano questa vita in attesa di un alfabeto/linguaggio che possa essere
condiviso”.
GRAZIA CALANNA
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