“LA VITA
CHIARA” DI MARIA GRAZIA CALANDRONE
«La poesia,
un patto di fratellanza»
LA SICILIA
11.01.2013
Intervista di
GRAZIA CALANNA
“Un nodo nero mi protegge il petto: / il mio
tributo al volo delle rondini / forma una solitudine / dove non sono sola”. Versi
sostanziali, partecipati, gemmati da una inventiva debordante che attinge all’esistenza,
ora narrata ora narrante, “arcobaleno / retto da un orizzonte”. Versi di Maria
Grazia Calandrone, tratti da “La vita chiara”, Transeuropa Edizioni. Un libro in
sezioni, quattro come gli elementi naturali, fondamento (immacolato) dell’essere:
in “Acqua” scorgiamo Persefone e la pittura di Piero della Francesca; in
“Fuoco” affiorano i dialoghi con il poeta mistico Hafez, le invocazioni di
Maria; in “Terra” risaltano storia e leggende gotiche. Chiude “Aria” col poemetto “Alla sua ultima
musa”, (per la voce di Sonia Bergamasco).
- Quali i
ricordi legati al suo primo componimento in versi?
Posso riferire i primi due guizzi metaforici, suscitarono
in me un entusiasmo per la libertà e la possibilità della mente in relazione
alla parola – ovvero lo spontaneo insorgere del “metodo”. All’inizio di marzo
del 1971 Roma si svegliò sotto un’abbondante nevicata. Io vidi i vasi dei
gerani alla finestra colmi di neve come un’offerta della natura, un mondo di
panna. Poi sentii provenire dalla strada lo stridere dei freni dei mezzi
pubblici e nella mente si aprì una bianca foresta surreale piena di barriti di “elefanti
meccanici”. Non sono mai più uscita da quella gioia associativa: mi accorsi che
le parole possedevano una loro immaginazione e potevano ricreare una realtà
parallela e abitabile. Certo, in quel caso vennero suscitate da un evento
ingenuo ed eccezionale, che facilmente poteva colpire l’immaginazione di una
bambina, ma con l’allenamento possiamo riuscire a vedere un altro mondo, “più vero
del vero”, anche sulla scrivania dove sediamo tutte le mattine da trent’anni.
- Quali i
poeti indispensabili?
I poeti sono tutti indispensabili. Possiamo fare a
meno dei facitori di versi che abusano della poesia per parlare di sé. Ma in
quel caso non si tratta di poeti, i quali dovrebbero dirci di un mondo comune
fuori dal comune.
- “Fino a che
siamo vivi produciamo rumore e misericordia / ma quel poco di bene solleva /
dal nostro petto tutta la fermezza della terra”, i suoi versi per chiedere se
la poesia può (in che modo) spianare “la strada al silenzio sotto i passi del
mondo”.
La poesia, tanto più è alta, tanto più ha la
funzione di ricordarci il patto che ci lega gli uni agli altri, che è un patto
di compassione e fratellanza. Siamo i soli viventi uniti dalla coscienza della
propria morte e rifuggiamo tutti come possiamo da questa evidenza. Basterebbe
ricordare questo per mitigarci gli uni verso gli altri. In questo senso
comunismo e cristianesimo sono opere della immaginazione poetica. Sul tema
della morte il cristianesimo pecca di un eccesso di simbologia infantile, ma se
ne possono facilmente comprendere le ragioni, nel tentativo di divulgare un
patto di bontà naturale che nella società umana sembra ogni giorno più straordinario.
- “Il vero
poeta anela a chiarezza. Egli ha coscienza che la parola è difficile, ma, e se
ne dispera, la rende fatalmente più oscura, più intrappolata nei significati
che, cercando di nudarla e di coprirla di luce, moltiplica”. Con Ungaretti per
chiederle di meditare insieme sulle ipotetiche (attuali) “incombenze” del
poeta.
I poeti sono delle sentinelle, fanno veglia sulla
lingua, che vuol dire far veglia sulla libertà della immaginazione, sulla
comune profondità sentimentale che è la compassione. Sarebbe buono che tutti ci
sentissimo costantemente bendisposti verso la bellezza e la bontà del mondo come
siamo ad esempio dopo aver letto Leopardi, che sparge sul male naturale la tanta
vitalità e bellezza delle sue parole.
- Scelga un
passo da “La vita chiara” per salutare i lettori.
Propongo il testo posto ad apertura di libro, per
motivi che credo siano chiarissimi: “Se io potessi aprirei il mio petto per
farvi vedere / come gli organi se ne stiano spaiati, uccelli acquatici / al
colmo / di un tetto, come tutto il mio petto sia un campo aperto / dopo la
rimozione degli alberi / e un passaggio di unità cinofile / e quale unico
congegno espressivo / tra animale e uomo /sia lo stesso ripetere che sì, che
sì...”.
GRAZIA CALANNA
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