Intervista alla poetessa Margherita Rimi
Le voci dei piccoli ci interrogano sul perché del male
La Sicilia Cultura 10.10.2012
di Grazia Calanna
“I tempi dei bambini / mi fanno
zoppicare / mi segnano col dito // E quando toccano le cose / l’aria comincia a
respirare a disegnare / la sua punteggiatura”. Versi di lucente spontaneità. Versi
essenziali. “Senza il logopedico discorso”, risananti. Versi incarnanti il
pensiero di fanciulli offesi dall’adulta perfidia. Versi di Margherita Rimi,
autrice di “Era farsi”, Autoantologia (1974
- 2011), edizioni Marsilio. Poetessa, neuropsichiatra infantile, svolge
un’intensa attività finalizzata alla cura e alla tutela di fanciullezza e
adolescenza. Offre sfumature dedicate, oltreché all’infanzia (nelle sezioni “I
tempi dei bambini” e “Le voci dei bambini”), a molteplici personaggi tra i quali
Pirandello, Sciascia, la poetessa rumena
Ana Blandiana, la scrittrice ungherese Agota Kristof. E, ancora, alla creatività della lingua
siciliana, con le liriche in vernacolo, “Di naca a naca / di luna a luna / si
coci sta terra // Si conza d’ùmmira / agnuna agnuna”, nonché, teneramente, alla
propria terra, la Sicilia, “dalle radici del mandorlo di notte a questo vento /
da dove esiste tutto questo mare”.
Nel suo volume protagoniste le voci dei più piccoli
e, insieme, il quesito “radicale e doloroso sul perché del male”. Considerato (citiamo
il poeta Vannuccio Barbaro), che le
parole giuste al momento giusto possono avere
un potere enorme, qual è la migliore (la più onesta) risposta
adulta?
“Sono le voci
dei bambini che ho voluto mettere in evidenza. Sono le voci dell’infanzia che
ci parlano, che ci pongono interrogativi: fra questi quello “radicale e
doloroso sul perché del male”, come scrive Daniela Marcheschi nella prefazione.
Il male, la sua verità tangibile nella realtà di quei bambini che hanno subito
malattie e violenze. I bambini sanno rappresentare quello che vivono, quello
che fanno: le loro paure, il dolore, la loro gioia e non solo con le parole, ma
anche con i disegni, con il gioco, con il corpo. L’adulto ha l’obbligo di
farsene carico. Quindi la parola è necessaria per comunicare, per “curare”, ma,
altrettanto, sono necessarie tutte le altre forme di linguaggio non verbale per
comprendere e aiutare i bambini”.
Quali i ricordi legati alla primissime poesie per i
“suoi” piccoli?
“Sono ricordi
legati ai loro volti, alla sofferenza, alle storie raccontate nei loro disegni.
E poi alle loro parole imperfette, alle parole di una lingua irregolare. Alla
loro concreta semplicità. Ho pensato ai bambini che subiscono violenze. Ai bambini
feriti dai grandi. Era giusto che la poesia accogliesse le loro voci”.
“Siamo rimasti in pochi / a ricalcare gli occhi sulla foto / a non giudicare per
quella / discordanza”; in che modo possiamo, a principiare da quei pochi,
imboccare la via per la “guarigione”?
“Ha citato una
poesia del libro “Su due rotelle”, dedicata “ai bambini che devono guarire”. È questa
la speranza, quella che sta nella cura e
nel prendersi cura da pare dell’adulto, in questo trovare senso. È la speranza
che tutti i bambini possano “mettersi in piedi”, avere una vita dignitosa, nonostante
la malattia”.
“Alcuni dicono che / quando è detta, / la parola
muore. / Io dico invece che /
proprio quel giorno / comincia a vivere”. Con la Dickinson per domandarle, assodato il ruolo pregnante della parola nei suoi versi, una riflessione in
merito.
“Penso anch’io,
con Emily Dickinson, che la parola non muore quando viene detta, muoiono le
parole che vengono svuotate di significato, quelle che vengono rese false. Le
parole autentiche possono essere conservate per sempre dentro di noi, perché ci
toccano nel profondo e ci avvicinano alla bellezza. Queste sono parole che influenzano i nostri comportamenti emotivi, i
nostri pensieri. È questo quello che fa la parola poetica, ci migliora, ci
rende più sensibili, più pensanti. La parola, quando il poeta la scrive, non
muore ma trova una sua conclusione”.
Per Cesare Viviani “La poesia è luce. Dei paesaggi,
dei movimenti, dei miraggi e degli inganni, delle favole e degli affanni, resta
un insieme di luci che, alla fine, sono l’unica possibilità di amare e
ricordare”, qual è il suo pensiero?
“Sì, si può
immaginare la poesia come una luce sul mondo, anche quando questo è buio. Soprattutto
quando questo è buio”.
Nella carezza ironica del mondo, quale sogno
dobbiamo preservare?
“Ciò che conta
è tenere sempre dentro se stessi il sogno, non abbandonarlo mai, non fare che rimanga
solo. È attraverso questo sogno che il bambino e l’adulto si ricongiungono. Si ritrovano
per diventare grandi”.
Scelga una poesia per salutare i lettori.
“Era farsi,
ovvero quella che da il titolo al libro (“Ai piedi del letto il tempo non
passava / Era farsi grande raccontare una storia / E la storia non era più una storia / era
farsi padre // Il suo disegno non era farsi grande / non era orizzonte la sua
mano // Il dolore era farsi carta / farsi carta i troppi desideri / Il suo
mondo era grande ed impreciso / la forma del suo cranio / una farfalla”), rappresenta
il divenire dell’esperienza umana. Come scritto in prefazione, scandagliare le
voci del mistero stesso dell’«era farsi», del divenire degli anni in direzione
dell’età adulta, e dell'umana ricchezza di un simile processo di crescita e
sviluppo, pur fra mille interruzioni e riprese”.
GRAZIA
CALANNA
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