Da mani mortali di Biancamaria Frabotta (Mondadori)
recensione di Grazia Calanna
“Sono come le pulci, i poeti / acquattati nel pelo del mondo. / Invisibili, se ne stanno passivi / nelle ore dolci dei vivi / ma in un tale loro modo
/ e così a caso dispersi / fra i tanti, singoli vanti. / Oh, se mordono, nei
loro nidi / bisogna cercarli / stanarli dai loro nascondigli”. Versi intimi di
Biancamaria Frabotta, schiudono “Da mani mortali”, recente silloge Mondadori che,
con qualche variante, ripropone, oltre al capitolo omonimo al libro, “Gli
eterni lavori” e “I nuovi climi”. L’amore per il creato
con il quale colei che scrive ha un legame indissolubile, “Potessi poggiando la
testa sul cuscino / udire il mormorìo della terra che dorme / quando sibila la
sofferenza delle piante”, il disincanto, l’incedere dell’evo impietoso come
l’alba che rabbuia “i filari della vigna” strappando “un altro giorno all’anno”,
la dipartita, “Ti vedo, signore degli assetati che non mangiano / col diabete
negli occhi, brindare, fra i lisi cuscini / alle stelle che ormai si vanno
spegnendo”. E, non ultimi, fede e inquisitori della coscienza, sin dalla tenera
età, “A otto anni è triste cibarsi del Dio vero”. Scandite da mordace mestizia,
queste le urgenze della Frabotta. Incede quieta puntellandole a modo con le
chiamate alla poesia (“A che gli vale amarla la poesia / se ricambiarla non gli
è dato?”), a “quel mezzofondista / che dei dispersi / è umile apripista”, ai poeti
(“troppo pochi!”), “in eterno costretti
/ a pendolare / sulla stessa tratta”.
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