martedì 24 giugno 2014


«QUEL GRIDO RAGGRUMATO» DI RITA PACILIO

Quando la poesia s’interroga sull’individualismo

LA SICILIA 11.06.2014

di Grazia Calanna

 

“La poesia dovrebbe sentire proprio il contesto di ogni civiltà, dovrebbe guardare in tutte le direzioni territoriali e sociali per conoscere i limiti dei paesi, delle aree geografiche che ancora parlano linguaggi educativi retrogradi e incivili. La poesia deve viaggiare, se è necessario deve interrogarsi e scegliere l’alternativa della politica solidale mondiale per riscattarsi da concetti legati alla meridionalità e all’individualismo sempre più sordo”. Una riflessione dell’autrice, Rita Pacilio, per introdurre “Quel grido raggrumato”, lancinante raccolta che, dopo “Non camminare scalzo e “Gli imperfetti sono gente bizzarra, chiude, per le edizioni de “La Vita Felice”, la trilogia abbarbicata sui  dolenti assunti dell’emarginazione. “Ci sono sentieri che nascondono l’inganno dei lastroni / e le mani dei padroni sono daghe, punte venute dall’est. / Inganna la zeppa nera, si abbevera alla macchia riccia di sole / scruta l’iride abbassata il sonno del cliente, antico padre. / Sono parole sacre le voci dei bambini, tiepide le fronti / eppure i glutei hanno croste, boomerang colpiti nel segno / fino ai fianchi pulsano inverni consumati domani / intorpidite le rupi si muovono come nembi folli le bufere. Non si aprono fenditure ma canaloni indecifrabili / un lappare lento, immaturo / che giunge all’agitazione tra le natiche della bestia / nel luogo livido di pianura chiuso in quel grido raggrumato”. “Parlo - aggiunge la Pacilio -, della vendita degli organi, della prostituzione minorile, della misoginia, della difficoltà a comunicare nonostante la vicinanza, il contatto”, “L’hanno tenuta in due come un foglio, un lenzuolo / i polsi e le caviglie erano in una forma che si stira / un mandarino intero riempiva la bocca e la gola / nel chiarore del vicolo divaricato fra le trombe d’aria / il suo esame di idoneità, la preparazione al primo / cliente la rendeva frutto acerbo del cactus / desiderato dalla censura di chi si apre i pantaloni / e spinge guardandosi intorno che sia coperto / dalla colpa che non si fermerà nella frusta dei reni / ma sintonizza il morso e il liquido che cola / dalle due bocche aperte lungo una linea comune / in quel triangolo nero da cui escono periferie e disordine”. Versi audaci che “sulle mani esplorano la via del ritorno”. Versi scarlatti, “la scintilla intima del riscatto acidulo e anticipato”, protesi verso le lampanti gradazioni del rifacimento, a principiare da un mondo in cui “ognuno perde se stesso e il chiaro sole”.Versi della rifioritura, “Dio non nega la gloria e la salvezza / i criminali hanno il loro tempo / un’acqua sul volto, nelle mani carta bianca”, dell’impervia riabilitazione, “È sollievo giustificare / la responsabilità dell’offerente / salvarsi dalla pena ripetuta. / Anche gli uomini si innamorano”.

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